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Associazione Nazionale Alpini

Sezione di Genova

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La Cappella della Pace
Madonna del Don

Tabella dei Contenuti

La nascita

La Cappella nacque all’indomani della 53^ Adunata Nazionale che si tenne a Genova nei giorni 3, 4 e 5 maggio 1980.

Il 3 maggio 1980 il Cappuccino Padre Policarpo da Valdagno (al secolo Narciso Crosara), Cappellano militare del Battaglione Tirano in Russia, donò al Gruppo A.N.A. di Sampierdarena “Medaglia d’Oro Gen. Antonio Cantore” una pregevole riproduzione in rame dell’icona della Madonna Addolorata da lui recuperata sul finire del 1942 in prima linea tra le rovine di un’isba nel villaggio di Belogorjie e attualmente venerata come “Madonna del Don” nella Chiesa dei padri Cappuccini a Venezia Mestre. Gli Alpini vollero dare degna collocazione alla venerata immagine.

Il 26 dicembre 1980 fu chiesto al Salesiano don Riccardo De Grandis, parroco di “Don Bosco”, di trovare all’interno della Chiesa parrocchiale un sito dove collocare la Sacra Immagine. Don Riccardo, con il consueto slancio, unitamente ai confratelli della Comunità parrocchiale mise a disposizione degli Alpini addirittura una Cappella, quella dove in passato era situato il fonte battesimale; e ne suggerì anche la denominazione: “Cappella della Pace Madonna del Don”.

Bastò quel gesto generoso per dare l’avvio a un vero “atto di amore”: la realizzazione della “Cappella della Pace Madonna del Don”, in memoria dei Caduti nella tragica campagna di Russia e in tutti i conflitti e per dare a Genova un luogo dove coloro che hanno perduto i loro congiunti o amici potessero raccogliersi in preghiera davanti alla Vergine Addolorata che li veglia.

Si è letteralmente scatenata tra gli Alpini e gli Amici degli Alpini una gara di generosità. Si costituì un Comitato Promotore presieduto da Giuseppe Carrena e composto dal Capogruppo di allora Sergio Buzzi, dal segretario Silvio Zappa e dai consiglieri Giuseppe Amari, Alessandro Bevegni, Giovanni Gualandi, Giuseppe Omacelli e Giovanni Panario.

Nessuno dei Soci si tirò indietro: per mesi e mesi gli Alpini di Sampierdarena hanno lavorato tenendo ben saldo in mente l’obiettivo e realizzando interventi che in altre situazioni non sarebbero stati presi in considerazione neanche per tornaconto personale.

Sabato 10 ottobre 1981 la Cappella, allestita nel suo stato attuale, fu solennemente dedicata.

La S. Messa solenne fu celebrata dallo stesso padre Policarpo Narciso Crosara, dal parroco don Riccardo De Grandis, dal cappellano sezionale dell’A.N.A. mons. Luigi Borzone, dal nostro socio Cavaliere di Vittorio Veneto il Salesiano don Vincenzo Colombara e da padre Filippo Pittaluga, parroco della Parrocchia di S. Francesco d’Assisi in Genova Bolzaneto.

Nel 1990 S. E. il Cardinale Giovanni Canestri, nel corso della visita pastorale alla Parrocchia, entrò nella Cappella della Pace e ne rimase così colpito da esclamare: “Questo è un santuario!”

Il Santuario degli Alpini Genovesi!
S. E. il Cardinale Giovanni Canestri
è mancato a Roma mercoledì 29 aprile 2015 all’età di 96 anni.
Gli Alpini di Sampierdarena lo ricordano riconoscenti

Molti dei protagonisti di quelle intense giornate “sono andati avanti”, ma il loro ricordo rimane indelebile: don Riccardo, mons. Luigi, don Vincenzo, Aldo, Silvio, Alfredo, Silvio, Giovanni, …

Da Lassù essi, in compagnia della nostra Madre Celeste, certamente ci guardano e ci proteggono.

L’allestimento – Descrizione delle Opere

L’ingresso della Cappella – Il Cappello Alpino

Sull’ingresso della Cappella spicca un Cappello Alpino in legno, intagliato con perizia e donato dall’Amico Carlo Tardito.

Il quadro della Madonna del Don

L’immagine della “Madonna del Don” è posta sopra all’altare. È il fulcro della Cappella della Pace.

Nel volto mesto di Maria c’è l’eco della tragica ritirata di Russia avvenuta negli anni 1942 – 1943.

È la riproduzione artistica dell’icona rinvenuta tra le rovine di un’isba del villaggio di Belogorije sulla sponda destra del fiume Don dove correva la linea del fronte di guerra, consegnata dagli Alpini al Cappuccino padre Policarpo Narciso Crosara, cappellano del Battaglione Tirano della Divisione Alpina Tridentina.

Il cuore della Santissima Vergine Maria, trafitto da sette spade, porta chiare impronte di mani che a lungo lo hanno devotamente toccato e di labbra che lo hanno baciato. Sopra il soave volto dal mistico atteggiamento sono incise le parole greche

μήτηρ Θεόu”
(Mêter Theoû – Madre di Dio)
.

Dal 1994 alla scritta “Venerata nel Santuario dei P.P. Cappuccini/Venezia- Mestre” stampata sulle immaginette della Madonna del Don, su richiesta del Gruppo e con l’autorizzazione del Padre superiore dei Padri Cappuccini di Mestre, sono aggiunte le parole “e nella Chiesa di S. Gaetano e S. Giovanni Bosco/ Genova- Sampierdarena”.

L’icona originale è custodita nella Chiesa dei Padri Cappuccini a Venezia Mestre.

A Sampierdarena la festa della Madonna del Don è celebrata ogni anno il secondo sabato di ottobre in contemporanea con i festeggiamenti di Venezia Mestre.

Mestre – Chiesa dei Padri Cappuccini
Mestre – L’interno della Cappella

L’altare – Il paliotto della Natività

L’altare è quello della Cappella del Sacro Cuore dell’antica chiesa di San

Gaetano distrutta dai bombardamenti nel 1943.

Il paliotto della Natività è uno dei migliori e raffinati bassorilievi in marmo dello scultore Antonio Canepa (Rapallo 1850 – Genova 1931). Assurge a documento storico, in quanto opera appartenente allo scomparso altare del Sacro Cuore dell’antica Chiesa di San Gaetano.

La pala dell’Alpino
A chi non ha avuto una tomba

Il grande dipinto è dedicato “A chi non ha avuto una tomba”, alle “penne mozze”, agli Alpini che sono “andati avanti”.

Il quadro rappresenta il Calvario della steppa russa (scena della ritirata), l’olocausto (l’Alpino insepolto) e la trasfigurazione (l’Alpino nella luce di Dio verso il Paradiso con “papà Cantore”).

È opera dell’Amico Aldo Orsi.

I pannelli lignei – La leggenda degli Alpini

 La “leggenda degli Alpini” è narrata nei pannelli lignei che circondano

l’icona, preparati dall’Alpino Silvio Lituania.

I bassorilievi – su bozzetto degli Amici architetti Carla e Franco Giabbani – sono stati scolpiti dall’Amico Alfredo Giuliano: rappresentano la storia dell’Alpino dal momento in cui lascia il focolare, la sua abnegazione in guerra, i suoi servizi in tempo di pace.

Il ponte di Bassano e il ponte di Perati (Grecia) riuniscono le generazioni di Alpini dei due conflitti mondiali (1915-‘18 – 1940 -‘45).

Quello che segue è il testo originale con il quale gli Autori dei pannelli di legno hanno illustrato la simbologia che li ha guidati a realizzare i quattro pannelli che fanno da cornice alla santa Effigie della Madonna del Don sull’altare. Uno spirito alpino profondo e radicato ha evidentemente ispirato la loro mente e guidato la loro mano. Da segnalare l’umiltà che i quattro Autori dimostrano nel presentare la loro pur rilevante fatica.

Presentazione degli autori

“In questa serie di pannelli, tratti da bozzetti di Carla e Franco Giabbani, si intende simbolizzare le tradizioni e lo spirito degli Alpini.

Nel pannello a sinistra viene raffigurato un Alpino (l’abbigliamento e l’equipaggiamento sono caratteristici della Prima guerra mondiale) che si sta allontanando e lascia alle sue spalle una tipica chiesetta delle nostre vallate, che sta a significare il paese natio dal quale eventi spesso dolorosi hanno strappato tanti giovani. Più avanti vediamo un conducente accanto al mulo, questo nostro silenzioso e fedele compagno, che non poteva certo mancare in un’allegoria delle truppe alpine. L’ultima figura di questo pannello rappresenta un Alpino, ancora con la vecchia uniforme che, in vedetta, sta scrutando lontano a simbolo del compito di guardia agli estremi confini della Patria che gli Alpini hanno sempre saputo assolvere.

Nel pannello a destra si sono voluti riassumere alcuni valori che sono fondamentali per capire quale veramente sia lo spirito alpino: la vedetta (questa volta con la mantellina della Seconda guerra mondiale), oltre a significare e ribadire il concetto di senso del dovere, vuole rappresentare anche un’ideale continuità di spirito con la precedente vedetta del 1915.

Il caporale che accucciato dietro alla roccia, scrive a casa simbolizza l’attaccamento ai valori della famiglia. L’Alpino che, sullo sfondo di una casa diroccata, presta soccorso ricorda come la generosità e lo spirito d’abnegazione dei nostri montanari non siano mai venuti meno, sia in pace che in guerra, nei confronti di chiunque, civile o militare.

Quest’ultimo Alpino è raffigurato con le uose valdostane attualmente in dotazione perché anche questa ultima generazione di Alpini, i nostri baldi “bocia”, ha tutti i titoli per continuare la tradizione dei “veci”.

Infine, la croce su cui posa il cappello con la penna mozza, vuole ricordare tutti quelli che “sono andati avanti”, ieri come oggi, anche se lo sfondo della massicciata di Nikolajewka con la Chiesa ortodossa ed il campo di girasoli ricorda, in particolare, quanti non hanno avuto neppure il conforto di una tomba in terra di Russia.

Quei girasoli vogliono idealmente ricondurre alle stelle alpine del primo pannello, così come la chiesetta cattolica all’inizio e quella ortodossa alla fine possono assumere il significato ecumenico dell’unione delle Chiese in uno spirito di pace e di fratellanza che è il vero omaggio che si possa rendere a coloro cui questa croce è dedicata.

I due pannelli che si trovano ai lati della Madonna del Don raffigurano due ponti ben noti nella tradizione alpina: il Ponte di Bassano caro ai Veci del ‘15/’18, e il Ponte di Perati, simbolo della campagna di Grecia-Albania. Questi due ponti che uniscono due generazioni di Alpini vogliono simbolicamente confluire verso la Madonna del Don affidandoci tutti alla protezione della Madre Celeste”.

Ancora due brevi note di carattere personale.

Il primo pannello reca sul retro la seguente dedica: “A mio Padre, Alpino dell’Ortigara”.

È un modesto, doveroso omaggio che uno degli Autori ha voluto rendere all’Artigliere Alpino Giuseppe Giuliano, classe 1898, perché è da lui che ha imparato, fin dai primi anni, ad amare le Penne Nere e questo amore ha cercato di trasfondere in questo lavoro cercando così di supplire alle grosse carenze tecniche.

Un altro pannello, quello del ponte di Bassano, è stato scolpito, durante l’estate, sotto un albero dove, nel lontano 1942, un Alpino, già reduce dal fronte occidentale e da quello greco albanese, si accomiatò dai suoi alla vigilia della partenza per il fronte russo.

Cadde sul Don (dedicato all’Alpino Luigi Venuti, classe 1918 – Btg. Pieve di Teco. Caduto in Russia).

Non si è voluto con questo escludere nessuno: si è solo ricordato particolarmente qualcuno che, per vicende personali, ci è molto vicino.

L’ultimo pannello, per datazione, porta i nomi dell’attuale Pontefice, del Cardinale Arcivescovo di Genova e del Parroco don Riccardo De Grandis.

Carla e Franco Giabbani, Silvio Lituania e Alfredo Giuliano ringraziano e chiedono la vostra benevola comprensione”.

Il Crocifisso

È il modello originale di una splendida fusione in bronzo dello scultore spezzino Augusto Magli (1892 – 1962). L’opera è stata donata, in memoria dell’Autore, dall’Amico Aldo Orsi che ne ha eseguito il restauro.

La croce in legno pregiato è opera e dono della famiglia Patrocinio.

Il cippo

Roccia autentica fatta arrivare dal San Michele sul Carso, monte sul quale fu scritta col sangue una pagina di tormentata storia della Prima guerra mondiale.

È dedicato ai Caduti di tutte le guerre.

L’inginocchiatoio

È stato realizzato in legno lavorato dall’Alpino Vittorio Frontoni. Vi sono affisse la “Preghiera dell’Alpino” e la “Preghiera alla Madonna del Don”.

L’urna con la terra del Don

Contiene una manciata di terra raccolta sulle rive del fiume Don. Vi sono affissi i distintivi delle Divisioni alpine “Tridentina”, “Julia” e “Cuneense” che combatterono in Russia.

È stata offerta dagli Alpini Attilio Ivaldi e Giovanni Benzo.

Dal fronte all’Italia

Una commovente pagina di storia degli Alpini

Una delle più belle pagine di storia delle Penne nere è quella che racconta l’origine della Madonna degli Alpini, riconosciuta in Italia e all’estero con il nome “Madonna del Don”.

Questa icona diventa viva testimonianza della fede purissima degli Alpini, vissuta nelle trincee, nelle gelide ridotte del fronte, negli aspri combattimenti del Don.

(Trascrizione del racconto autografo di
Padre Policarpo Narciso Crosara)
Padre Policarpo Narciso Crosara

«Molti giornali e riviste parlarono della Madonna del Don pellegrina per le vie d’Italia, dando risalto a questa fede cristallina come le acque sorgenti dalle rocce dei loro monti, ma pochi hanno fatto notare i rapporti umani dei nostri alpini con le popolazioni ucraine che non vedevano nelle penne nere un nemico, ma il soldato che faceva la guerra senza odio e senza rancore.

La Madonna del Don ha origine da uno di questi episodi di umana comprensione.

Ogni tanto giungeva dalle retrovie frettolosa e scompariva fra le isbe del villaggio, una simpatica vecchietta. Girava tra le macerie delle isbe abbandonate, cercando qualcosa che soltanto lei sapeva. La guerra era passata per di là seminando disordine e devastazione. Il villaggio era a due passi dal nemico accampato sull’altra riva del fiume. In quella donna ogni alpino vedeva la sua mamma, lasciata nel paese lontano a piangere e a pregare per lui. Passava in mezzo agli alpini senza timore; guardava loro con materna bontà ed il loro “pope” con venerazione e rispetto.

Non vedete che questa gente povera e sconsolata se ne va di corsa … Che volete che vengano a fare … hanno qualche straccio tra le rovine” – rispondeva il comandante del Battaglione, il Magg. Zaccardo dal cuore grande e magnanimo, a chi gli faceva osservare queste capatine dei russi nel villaggio in prima linea.

Un giorno la donna non tirò diritto, di corsa, come al solito, ma si fermò davanti al “pope” dalla penna nera sul cappello:

Non so, — gli disse sottovoce quasi temesse di farsi sentire — non so come mostrarti la mia riconoscenza per tutto il bene che fai alla nostra gente. Là tra le macerie della mia isba c’è una Icona che mi è tanto cara. Vieni, aiutami a levarla, te la dono. Nelle mani tue è al sicuro più che in qualsiasi altro luogo”.

Io sapevo che le Icone della Madonna erano per il popolo russo qualcosa di veramente sacro. Per antichissima tradizione alla figliola che si sposa la mamma, come se fosse un rito sacro singolare, offre una icona, affinché nella nuova isba ne diventi l’angelo tutelare.

Ci incamminammo verso il grosso del villaggio che dà nella “balka” che si apre verso il fiume, quando scorsi alcuni alpini farmi segno di attenderli. Venivano affannati in cerca di me. Arrivarono con il fiato grosso:

Vieni. C’è una bellissima Madonna laggiù” … indicandomi un gruppetto di isbe

“Vieni, cappellano. Vieni a prenderla tu”. Risposi che la portassero nella loro postazione. Sarei andato a vederla più tardi. Gli alpini insisterono:

Il tenente ha detto che devi venire tu a raccoglierla …”.

Mi indicarono l’isba verso la quale mi stavo incamminando con la buona vecchietta. Quale non fu la mia sorpresa quando mi accorsi che l’isba, diventata un cumulo di rovine, era quella della donna e l’Icona, che spuntava da quel groviglio di calcinacci, serramenti e travi era la stessa icona indicata dagli alpini.

La donna me la consegnò. Mi pareva che le mani le tremassero e la voce fosse rimasta in fondo al cuore … Quel volto di Madonna mi apparve tanto diverso dalle solite Icone e tanto simile alle belle Madonne dei nostri paesi.

In quel momento mi parve di vedere là presenti, stretti intorno alla Santa Icona, due popoli, in guerra tra di loro, sentirsi fratelli, uniti nello stesso amore per la Madre di Dio, in un’ora di odio e di sangue …

La mia isba ancora risparmiata dalla guerra, poi la ridotta nella Balketta dei Kirpinski diventarono cappella, convegno degli alpini. Qui la venerata Icona ebbe il suo primo altare, in prima linea, e vi rimase finché cominciarono a giungere al Comando Battaglione notizie preoccupanti.

I carri armati tedeschi di appoggio alla nostra linea un bel dì scomparvero … ma dall’altra sponda del fiume giungeva a notte piena il rumorio crescente dei grossi cingolati russi. Il gelo stringeva nella sua morsa la steppa e le sue rovine.

Il Don agghiacciava a prova di bomba. I pattuglioni nemici attaccavano sempre più audaci, spingendosi fin sotto le postazioni. Le rive del fiume rintronavano dagli scoppi degli obici pesanti e del fragore della Katiuscia.

Un alpino con lo zaino in spalla arriva alla mia ridotta. Spinge la testa entro la porticina sconnessa: “Padre, ti saluto. Vado in Italia… – aggiunse visibilmente commosso – Ho la mamma che sta male! Prega per lei; le porterò la tua benedizione …”.

Fu un attimo passarmi davanti gli occhi la dolce figura di mia madre … Feci entrare l’alpino. Staccai dalla parete di terra la Santa Icona e gliela consegnai. “Ti manda la Provvidenza! Portala a mia madre. Tu hai la fortuna di ritornare in Italia, noi non usciremo da questo inferno. Dille che la custodisca per tutte quelle povere mamme che non vedranno il nostro ritorno: così sarà loro di conforto, perché davanti a Lei hanno pregato i loro figlioli.”

Così partì dal fronte per l’Italia l’Icona, portandosi via il nostro cuore.

Non ricordo il giorno, ma penso fosse la metà di dicembre 1942 quando gli alpini incominciarono a buttare giù pagine di sangue e di eroismo quali nessun reparto ha scritto nell’ultima guerra.»

Una curiosa concomitanza 

Nel dicembre del 1942 padre Policarpo rinvenne l’icona della Vergine Addolorata tra le rovine di un’isba russa distrutta dalle bombe.

Dieci mesi dopo, il 13 ottobre 1943, l’antica Chiesa di San Gaetano fu distrutta dalle bombe, ma un altare rimase miracolosamente intatto, quasi ad attendere l’Immagine della Madonna per restituirla alla venerazione dei fedeli.

Il pieghevole a disposizione dei fedeli

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LA CAPPELLA DELLA PACE – MADONNA DEL DON – SITO ANA GENOVA (1)